mirando fijamente desde su capucha de hueso.”
fissando dal suo cappuccio d’osso.”
La finestra vomita
vomita
coaguli di cielo
e
il cervello spegne le sue luci,
a
una a una, la festa è finita.
Io
ululo in nero
(il
nero è un silenzio spesso
come
la saliva
di
un condannato a vivere).
Io
bestemmio in nero,
e
due bimbi traslucidi
mangiano
sandwich con l’uovo,
waffle,
succo
d’arancia,
in
una stanza senza finestre
all’altro
capo del mondo.
Io,
mutante
bionda,
fantasma
dai capelli rossi,
ebra,
sapone, maledetta,
che
abbraccia gli stivali di papà,
che
lecca gli stivali di papà,
offrendogli
un piccolo finale
di
camera a gas,
di
Auschwitz domestico.
La
finestra come un collirio
che
lenisce
il
mio sguardo d’inverno.
Ora
vomita i colori,
li
sputa, li smantella,
che
se ne vadano,
colori,
placebo,
dormiremorire
si
fa sempre in nero
che
se ne vadano.
A
volte,
tolgo
la testa dal forno,
raccolgo
le mie poesie,
raccolgo
le mie larve,
in
una breve festa di risuscitati,
breve
come una finestra,
un
collirio, un sapone,
dei
figli distanti.
De "Un rayo a tiempo", El Mensú Ediciones (2018)
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