viernes, 5 de junio de 2020

CINQUE DOMANDE AI POETI - INTERVISTA: ROSSELLA PRETTO / CINCO PREGUNTAS A LOS POETAS - ENTREVISTA: ROSSELLA PRETTO


CINQUE DOMANDE AI POETI / INTERVISTA: ROSSELLA PRETTO

1. 
In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura? 

2. 
In una delle canzoni più celebri interpretate da Johnny Cash, The man in black, dice di vedere un’oscurità («I see a darkness»). Quale oscurità ti è capitato di vedere e come ne hai scritto? 

3. 
Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, ricordando il suo primo punto di riferimento artistico, l’amico Buddy Holly, dice che sembrava esserci in Buddy qualcosa di permanente («something about him seemed permanent») e che riusciva a trasmettere qualcosa che gli faceva venire i brividi he transmitted something» ... «and it gave me the chills»). C’è un poeta che ti fa sentire così quando lo leggi e perché? 

4.
Un altro Premio Nobel per la letteratura, Seamus Heaney, ha detto che Eminem ha creato un senso di ciò che è possibile iniettando un voltaggio nella sua generazione («he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation») non soltanto con il suo comportamento sovversivo ma anche attraverso la sua energía verbale («He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy»). C’è stato/c’è un poeta che per te corrisponde a questo identikit? 

5.

Scegli una tua poesia e ci spieghi perché ti rappresenta? 

1.
Nelle vene della mia scrittura scorrono e si diffondono sia l’aspirazione a un mondo più giusto sia il bisogno di dare la mia voce a quelli che sono stati silenziati durante moltissimo tempo: le donne, le minoranze, i perseguitati.  Considero che la poesia è anzitutto una forma di resistenza di fronte agli impeti della realtà. Il grande poeta argentino Juan Gelman ha detto che “La poesia è la resistenza di fronte a un mondo che diventa sempre più crudele, sempre più terribile, disumanizzante”.  La parola poetica pertanto, va configurata come un posto che mette in evidenza la realtà ma, allo stesso tempo è anche un facilitatore affinché quella realtà sia trasformata e si salvi. 
È uno strumento colettivo di costruzione di belleza e di verità, che corregge non solo lo scenario politico e sociale nel quale è stata concepita ma anche quelli che la concepiscono e l’adottano come propria.  “Una buona poesia aiuta a cambiare la forma e il significato dell’universo, aiuta ad espandere non soltanto la nostra autoconoscenza ma pure quella del mondo che ci circonda”, diceva Dylan Thomas, ed io aderisco pienamente a queste parole.
La poesia, sovrana assoluta della libertà, scappa dal mondo commerciale che risponde ai canoni del capitalismo imperante, ma sebbene non riesca a fare delle grandi vendite, ha moltissimo più peso di quanto pare e perfora la pietra dell’indifferenza con un’indistruttibile volontà. La parola poetica è la grande roccaforte della memoria, quindi dell’identità. Siamo quello che ricordiamo e di conseguenza, ricordare è essere. La poesia come forma di resistenza dell’umano ci aiuta a ricordare,  perciò ad essere.  Inoltre, essa è un potente strumento di denuncia.  Scrivere una poesia o leggerla sono atti politici di grande peso.  Scrittori e lettori puntano sul miracolo della creazione invece di cedere alla destruzione e allo scoraggiamento. Colui che si dà alla poesia esalta l’esistenza di voci diverse dalla propria e va in cerca di una comunione con se stesso e con gli altri.

2.
L’oscurità che posso vedere e che scarico nella mia scrittura è duplice. Da una parte, l’oscurita del mondo, collegata direttamente alla giustizia.  È la stessa oscurità della quale parla Johnny Cash in “Man in black”: quella che ci copre per la nostra condizione umana e ci rimanda ai poveri, ai bastonati, agli affamati, ai malati,  Fino a quando la realtà del mondo non cambi, sarà difficile per qualsiasi artista impegnato con essa di poter vestire un abito a colori.  D’altra parte vedo anche un’oscurità interiore, intima. Questa riguarda la mia storia, con le perdite dalle quali è stata attraversata e mi hanno spesso portata a flirtare con la morte dalla mia poetica.

3.
Sono vari i poeti che ammiro profondamente e che mi fanno sentire lo stesso che Bob Dylan provava di fronte a Budy Holly.  In primo luogo i poeti che si sono confrontati, dalla parola ed altri anche da un posto più rischioso, con un sistema politico e sociale in disaccordo con le loro convinzioni e i loro valori.  Innanzitutto menzionerei Miguel Hernández. Anche altri connazionali miei, la cui opera, secondo l’affermazione del Premio Nobel per la Letteratura Joseph Brodsky, “un acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione dell’universo”: Roberto Santoro, Francisco “Paco”Urondo, Juan Gelman.  In secondo luogo, tre poetesse che hanno profondamente segnato la mia scrittura: Alejandra Pizarnik, Sylvia Plath e Anne Sexton.

4.
Credo che i poeti che concordano con l’identikit che Seamus Heaney ha fatto su Eminen sono alcuni che ho già nominato sopra: Santoro, Urondo, Gelman. Loro hanno iniettato un alto voltaggio di coscenza sociale e poetica nella loro generazione.  Dal mio punto di vista anche i poeti della generazione beat: Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, tra altri, si inseriscono in questo ritratto. Ci sono pure alcune donne che rappresentano molto bene quel movimiento e sono state ingiustamente rese invisibili, come Elise Cowen o l’immensa Marge Piercy.

5.

AUTORITRATTO III

È quasi sempre triste,
tranne quando ascolta i Beatles
o accarezza i gatti.
Oppure quando è venerdì
e si prende uno champagnetto a buon mercato,   
e pensa “Grazie a Dio e venerdì”,
come se la vita fosse un film disco
(perché non le piacciono né i sabati
né le domeniche,
né i lunedì,
ma i venerdì hanno ancora per lei un certo fascino,
una certa aria di genuina promessa).
È tirchia, quasi sempre,
generosa, a volte,
troppo orgogliosa come per rompere le foto che non le rendono giustizia,
troppo orgogliosa come per riscrivere le sue poesie.
Non ha mai visitato l’Europa,
né  imparato a ballare, 
né usato un abito da sera.
Non si è mai fatta bionda.
Ma è così anacronistica, così patriarcale,
così scema,
che sogna ancora con i castelli e i valzers,
e una criniera come quella di Rapunzel distesa
sul cuscino del Principe Felice.
Avrebbe desiderato di non nascere,
non crescere,
non dover morire.
Avrebbe desiderato un dono più pratico
di quello di scarabocchiare il dolore
e mettere un sonaglio alla parola.
È quasi sempre triste
ma sorride
come se non le stringessero le scarpe della routine,
come se l’amore non fosse un vestito scomodo
che le tira lo scalfo,
come se il suo taglio di capelli fosse ancora di moda.
È ingrassata,
è diventata vecchia,                    
ha paura.
È quasi sempre triste.
Ha dei bellissimi occhi.

Credo che la poesia “Autoritratto III” mi rappresenta perché è un onesto dipinto della mia persona, uno sguardo abbastanza crudo dove io accetto le mie limitazioni come essere umano e come artista e anche evidenzia quell’intima e personale oscurità della quale ho gia parlato prima. Considero che l’onestà, lo spogliarsi degli inutili fronzoli tanto del verso quanto della visione che si ha sul mondo e su se stesso sono dei requisiti indispensabili per scrivere poesia (o al meno tentare di farlo).


CINCO PREGUNTAS A LOS POETAS / ENTREVISTA: ROSSELLA PRETTO

1. 
En uno de los motetes para su musa girasol, Clizia, Eugenio Montale habla de señal o signo que “se ramifica y lo describe con estas palabras: “sangre tuya en mis venas”.  ¿Qué o quién se ramifica en ti llegando a fluir en las venas de tu escritura? 

2.  
En una de las canciones más célebres interpretadas por Johnny Cash, El hombre de negro dice que ve una oscuridad (“I see a darkness”). ¿Qué oscuridad  pudiste ver y cómo has escrito de ella? 

3.  
En la disertación tenida en ocasión del otorgamiento del Premio Nobel de literatura, Bob Dylan, recordando su primer punto de referencia artística, el amigo Buddy Holly, dice parecía haber en Buddy algo de permanente (“something about him seemed permanent”) y que lograba transmitir algo que le hacía tener escalofríos (“he transmitted something ... and it gave me the chills) . ¿Hay algún poeta que te hace sentir así cuando lo lees y por qué? 

4.  
Otro Premio Nobel de literatura, Seamus Heaney, dijo que Eminen ha creado un sentido de lo que es  posible inyectando un voltaje en su generación (“he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation) no sólo con su comportamiento subversivo sino también a través de su energía verbal (“He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy”) ¿Hubo /hay un poeta que para ti concuerda con este identikit? 

5.  
Elige un poema tuyo y explícanos porqué te representa. 

1.
En las venas de mi escritura fluye y se difunden la aspiración a un mundo más justo y la necesidad de darle voz a aquellos que han sido silenciados durante muchísimo tiempo: las mujeres, las minorías, los perseguidos. Considero que la poesía es, en primer lugar, una forma de resistencia frente a los embates de la realidad. El gran poeta argentino Juan Gelman dijo, alguna vez, que “la poesía es resistencia frente a un mundo que se vuelve cada vez más cruel, cada vez más terrible, deshumanizante”.  La palabra poética, entonces, se conforma como un lugar que evidencia la realidad pero, además, en un facilitador para que esa realidad se transforme y se salve. Es una herramienta colectiva de construcción de belleza y verdad, que corrige el escenario político y social en el que fue concebida y a aquellos que la conciben y la adoptan como propia. “Un buen poema ayuda a cambiar la forma y el significado del universo, ayuda a extender el conocimiento de nosotros mismos y del mundo que nos rodea”, decía Dylan Thomas, y acuerdo completamente con estas palabras.

La poesía, soberana absoluta de la libertad, escapa del mundo comercial que responde a los cánones del capitalismo imperante, pero, aunque no logre grandes ventas, tiene muchísimo más alcance de lo que parece y horada la piedra de la indiferencia con voluntad indestructible. La palabra poética es el gran reducto de la memoria y, por ende, de la identidad. Somos lo que recordamos y, por lo tanto, recordar es ser. La poesía, como una forma de resistencia de lo humano, nos ayuda a recordar y, por tanto, a ser.  Y es, además, un poderoso instrumento de denuncia. Escribir un poema o leerlo son actos políticos de gran peso. Escritores y lectores apuestan al milagro de la creación en lugar de ceder a la destrucción y al desaliento. Quien se ofrenda al poema exalta la existencia de voces diferentes a la suya y busca una comunión consigo mismo y con los otros.

2.
La oscuridad que puedo ver y que volcó en mi escritura es dual. Por un lado, la oscuridad del mundo, relacionada directamente con la injusticia. Es la misma oscuridad de la que habla Johnny Cash en “Man in black”: la que nos cubre a todos por nuestra condición humana y nos remite a los pobres, los apaleados, los hambrientos, los enfermos. Hasta que la realidad del mundo no cambie, es difícil para cualquier artista comprometido vestirse con un traje de colores. Por otro lado, veo también una oscuridad interna, íntima. Que tiene que ver con mi historia, con las pérdidas que la han atravesado, y me ha llevado muchas veces a coquetear con la muerte desde mi poética.

3.
Son varios los poetas a los que admiro profundamente y me hacen sentir lo mismo que Bob Dylan experimentaba frente a Budy Holly. En primer lugar, los poetas que han enfrentado, desde la palabra y algunos, también, desde lugar de mucho más riesgo, un sistema político y social desacorde con sus creencias y sus valores. En primer lugar, citaría a Miguel Hernández. También a muchos compatriotas cuya obra es, tal como postuló el Premio Nobel de Literatura Joseph Brodsky, “un acelerador de la conciencia, del pensamiento, de la comprensión del universo”: Roberto Santoro, Francisco “Paco” Urondo, Juan Gelman. En segundo lugar, tres poetas que han marcado mi escritura profundamente, Alejandra Pizarnik, Sylvia Plath y Anne Sexton.

4.
Creo que los poetas que concuerdan con el identikit que Seamus Heaney hizo sobre Eminen son algunos que nombré anteriormente: Santoro, Urondo, Gelman. Ellos inyectaron a su generación un alto voltaje de conciencia social y conciencia poética. También encajan en este retrato, desde mi punto de vista, los poetas de la generación beat: Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, entre otros. Y algunas mujeres que representan muy bien el movimiento y han sido injustamente invisibilizadas, como Elise Cowen o la inmensa Marge Piercy.

5.

 AUTORRETRATO III

Casi siempre está triste,
salvo cuando escucha a Los Beatles
o acaricia a los gatos.
O cuando es viernes
y se toma un champancito barato,
y piensa “Gracias a Dios es viernes”,
como si la vida fuera una película disco
(porque no le gustan ni los sábados,
ni los domingos,
ni los lunes,
pero los viernes todavía tienen para ella cierto encanto,
cierto aire de genuina promesa).
Es mezquina, casi siempre,
generosa, a veces,
demasiado orgullosa como para romper las fotos que no la favorecen,
demasiado orgullosa como para reescribir sus poemas.
Nunca visitó Europa,
ni aprendió a bailar,
ni usó un vestido de fiesta.
Jamás se tiñó de rubia.
Pero es tan anacrónica, tan patriarcal,
tan tonta,
que todavía sueña con castillos y valses,
y una melena como la de Rapunzel extendida
sobre la almohada del Príncipe Feliz.
Hubiera deseado no nacer,
no crecer,
no tener que morir.
Hubiera deseado un don más práctico
que el de garabatear el dolor
y ponerle el cascabel a la palabra.
Casi siempre está triste
pero sonríe
como si no le apretaran los zapatos de la rutina,
como si el amor no fuera una prenda incómoda
que le tira de la sisa,
como si su corte de pelo todavía estuviera de moda.
Está gorda,
está vieja,
está asustada.
Casi siempre está triste.
Tiene unos ojos hermosos. 

Creo que el poema “Autorretrato III” me representa porque es una pintura honesta sobre mi persona, una mirada bastante descarnada donde acepto mis limitaciones como ser humano, como artista, y pone de manifiesto, también, esa oscuridad íntima y personal de la que hablé anteriormente. Considero que la honestidad, el despojarse de las florituras innecesarias, tanto del verso como de la mirada que se tiene sobre el mundo y sobre uno mismo, son requisitos indispensables para escribir poesía (o, por lo menos, intentarlo).

Traducciones: Elba Gallenti

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